giovedì 6 dicembre 2012

All The Unknown Beauty: Let It Be - The Beatles by Giuse

In questa rubrica vi farò fare un viaggio molto particolare, un viaggio attraverso gli anni '60 (più precisamente dal 1963 al 1970).
Chi di voi non conosce i The Beatles?
John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr sono stati i membri, della band che ha cambiato le regole, della stella che ha folgorato le scene della musica "pop" del periodo. Quattro semplici ragazzi provenienti da quattro vite ordinarie che...okay ma questa è la solita storiella che potete leggere ovunque. Il mio scopo è ben diverso: desidero farvi conoscere quelle canzoni che per loro sfortuna non hanno sfondato come tante altre, e che in realtà meritavano di essere considerate poichè parte integrante del percorso musicale della band.
In questo periodo ho intrapreso io stesso questo viaggio, ed ho scoperto canzoni fantastiche, piacevoli, a cui mi sono molto affezionato.

Premetto che le mie analisi avranno come unico scopo quello di segnalare in modo soggettivo quali canzoni ho sempre sottovalutato ma che in realtà meritano molto di più rispetto all'anonimato in cui galleggiano, quindi non intendo fare recensioni varie, poichè potrei perdermi nei meandri della musica e delle sue armoniose sfumature.
Non seguirò un ordine logico o cronologico ma semplicemente mi baserò su ciò che mi hanno trasmesso gli album.

La prima "issue" tratta l'ultimo album in studio dei Fab4, Let It Be.
L'idea originale di McCartney, era di registrare un album dal vivo, riprenderne le sedute d'incisione per trarre un film/documentario, e concludere il tutto con uno spettacolare concerto in un anfiteatro greco, o su un transatlantico. Ma lo scisma dei Beatles, le tensioni anche di natura finanziaria, che di lì a poco avrebbero distrutto anche la loro amicizia, oltre al loro sodalizio musicale, erano ormai ad un livello troppo avanzato perchè il progetto potesse funzionare.
Parlando delle canzoni dell'album possiamo dire che Paul McCartney fornisce senz'altro i brani migliori come "Get Back" e "Let It Be" per le questioni relative al testo, "The Long And Winding Road" anche per quelle relative all'arrangiamento.

Qulache dato:

Pubblicazione:
Box Set: 8 maggio 1970
Formato: LP 33 giri

La rivista Rolling Stone ha inserito "Let It Be" al 392° posto della sua lista dei 500 migliori album

Tracklist:

LATO A

1.Two Of Us (Lennon/McCartney)
2.Dig A Pony (Lennon/McCartney)
3.Across The Universe (Lennon/McCartney)
4.I Me Mine (Harrison)
5.Dig It (Lennon/McCartney/Harrison/Starkey)
6.Let It Be (Lennon/McCartney)
7.Maggie Mae (Tradizionale, arrangiato da Lennon/McCartney/Harrison/Starkey)


LATO B

1.I've Got A Feeling (Lennon/McCartney)
2.One After 909 (Lennon/McCartney)
3.The Long And Winding Road (Lennon/McCartney)
4.For You Blue (Harrison)
5.Get Back (Lennon/McCartney)



Come tutti voi saprete i pezzi più celebri di quest'album sono: "Let it be", "The Long And Winding Road", "Get Back e Across The Universe".
Chi di voi non conosce già questi 4 pezzi molto probabilmente ha sbagliato a cliccare e si trova in questa rubrica per sbaglio.

Mi sono bastati pochi ascolti per capire che la validità di quest'album parte dalle prime due canzoni.
"Two of Us"
Con la sua rilassata sentimentalità costituisce un inizio azzeccato, benchè illusoriamente, promettente per l'album "Let It Be".

"Dig A Pony"
Una canzone che coinvolge molto anche se i testi sono tendenzialmente privi di significato. Non mancano alcune citazioni gustose, ad esempio il riferimento a Mick Jagger (il verso che inizia con "I roll a stoney") ed uno a Bob Dylan: "I feel the wind blow". L'unico verso chiaro è senza dubbio "all I want is you", il che chiarisce definitivamente a chi è dedicata la canzone: Yoko Ono, ormai prossima a diventare la signora Lennon.


Ma trovo che anche il duo "I've Got A Feeling" e "One After 909"  dia un tocco speciale all'album.

"I've Got A Feeling"
L'unica vera collaborazione Lennon/McCartney per l'album Let It Be è in realtà l'unione di due frammenti scritti separatamente dai due autori. L'intelaiatura è basata su due accordi ed è speculare a quella di "A Day in the Life". La parte di McCartney, eseguita in modo molto passionale, è una canzone d'amore per Linda, la sensazione che mi trasmette il brano è quella che l'autore abbia trovato la persona giusta con cui condividere la sua vita.
La parte cantata da Lennon si incastra in modo perfetto, armonicamente parlando, ma è molto distante dalla dolce sequenza di McCartney come significato - Everybody had a hard year/Everybody had a good time - .

"One After 909"
Questo pezzo rock fu scritto da un giovanissimo Lennon forse nel 1957. Esistono varie registrazioni(1960/62/63).
Il testo contiene un chiaro riferimento al numero 9, numero favorito di Lennon (presente anche in Revolution 9 e #9 Dream), è funzionale alla musica, ma non banale.
One After 909 è un pezzo "di altri tempi" ma prende le distanze dal suono early 60ies delle versioni sopraccitate in favore di una sonorità tipicamente '70, con le sue voci in armonie strette, era un pezzo molto divertente da cantare, e il gusto che Lennon e McCartney provano nell'esecuzione è evidente e contagioso. 
Ancora nel '94 Paul confermava: "magari non sarà una gran canzone, ma è una delle mie preferite".

Posso dire che Let It Be è un buon album, seppur figlio di un periodo molto controverso,che presenta veramente delle belle tracce al suo interno.Tuttavia non rende alla perfezione il concetto di album, non esiste infatti quella coesione che si è quasi sempre verificata nei lavori dei fab4.
Esiste una versione "Naked", uscita nel 2003 che secondo McCartney assomiglia maggiormente al progetto iniziale dell'album.

Informazioni prese da documenti cartacei e siti online tra cui la maggior fonte
"Pepperland"  ---> http://www.pepperland.it/
Spero vi possa esser stato d'aiuto e che vi sia venuta voglia di ascoltare queste 4 canzoni, la prossima volta argomenterò l'album "Rubber Soul".
-Giuse



venerdì 9 novembre 2012

The Doors: l'incidente di Miami


Siamo nel 1969. I Doors di Jim Morrison sono all’apice della carriera. Il primo marzo di quell’anno si verificò un episodio celebre, nel bene o nel male, nella storia della band, il cosiddetto “Incidente di Miami”.

Quella sera, la band aveva in programma uno show al Dinner Key Auditorium di Miami, la cui capienza stimata (e legalmente consentita) era di 7000 persone. Il fatto che effettivamente invece ci fossero 12000 spettatori, rappresentava un primo problema.
Morrison quel giorno aveva perso alcune coincidenze aeree ed era in ritardo per lo show di più di un’ora, e tanto per cambiare vi si presenta completamente ubriaco, avendo bevuto per quasi tutta la giornata.
La folla scoppia sul tanto atteso attacco di “Back door man”, ma il buon Jim sembra cantare assorto, non pare molto interessato al marasma di fans in delirio per lui: è questo l’inizio di una delle serate più controverse della storia della band, che ha quasi portato al deraglio dei quattro. Morrison inizia a rivolgersi alla folla con frasi come “Amatemi, non ce la posso fare senza il vostro amore, datemi un po’ di amore”. Si riparte con “Five to one” ma durante l’assolo di Krieger, Jim riprende: “Siete un branco di fottuti idioti”. Qui il pubblico scoppia in un applauso e in una risata generale, e il Re

Lucertola incalza “Lasciate che vi si dica cosa fare, lasciate che vi comandino a bacchetta” e poi prosegue in questa direzione, dando degli schiavi [del sistema] alla crowd, che in risposta inizia ad agitarsi seriamente. A fine assolo, Morrison riprende il brano e lo canta fino alla fine. E qui riparte con la predica, spiegando che non incita una rivoluzione, una manifestazione, ma chiede solo di amarsi tutti a vicenda, di divertirsi tutti insieme, mentre la band tenta di fermarlo attaccando “Touch me”, che dopo due soli versi viene nuovamente interrotta da Jim, che non riesce a stare dietro la canzone e si incazza. Riprovano ad attaccarla, ma niente. Si prosegue allora  con “Love me two times” e “When the music’s over”, ma nel break centrale del pezzo Jim riparte con dialoghi con il pubblico, continui incitamenti all’amore della folla e raccontando la storia della sua vita dalla nascita, per poi nuovamente tornare al controllare le scuole e il mondo, e incitare nuovamente l’amore e le danze più sfrenate. Con il front man ormai fuori controllo, la band attacca “Light my fire”, all’interno della quale si riparte con la predica. Durante tutto ciò c’è anche stato spazio per una fan che lava Morrison con dello champagne, facendogli togliere la maglia. Da qui, Jim incita anche alla nudità, usa la maglia per coprirsi all’altezza dell’inguine e fa strani movimenti con la mano dietro ad essa, senza dimenticarci di una simulazione di “sesso orale” (per non dire altro) in ginocchio di fronte a Krieger durante un assolo.
Nel caos più totale, l’esibizione termina, con Jim che si defila rapidamente nel backstage, non prima di aver dato un ultimo sguardo compiaciuto alla folla da una balconata.
Poche ore dopo, la band sale su un aereo per Caraibi, dove resta per un certo periodo.

Ora contestualizziamo il tutto per capire le conseguenze che quella serata ha portato. Siamo a cavallo tra i 60s e i 70s, e il sistema americano è più che mai bersaglio di continue rivolte e manifestazioni giovanili (ricordiamo che sono gli anni del Vietnam). Erano gli anni in cui essere un’icona ribelle contro gli USA, per i giovani era come benzina sul fuoco. Proprio per questo l’FBI non aspettava che il giusto passo falso di questi personaggi per avere il pretesto di arrestarli. Ecco: la performance di Morrison di quella sera era il pretesto perfetto. Folla violenta e scatenata, incitamenti alla rivoluzione, al controllo del sistema, alla lotta al governo schiavista… Il tutto condito con atti osceni sul palco, “parole sediziose” e “possibili violenze razziali” tra il pubblico (questo recitavano i rapporti dell’FBI). E poi la rapida fuga di Morrison dopo lo show per i Caraibi.
Che le affermazioni dello Sciamano sul palco fossero puro frutto di un mix di teatralità ed eccessi alcolici lo abbiamo intuito tutti, e la “fuga”, per com’è stata definita, era una cosa già prevista da calendario, come semplice vacanza.
Ma per le autorità c’erano le condizioni perfette per incastrare Jim ed emettere un mandato di cattura.

C’è anche da dire che l’agitazione del pubblico e il fatto che ci fosse quasi il doppio delle persone massime per la location, avevano forse generato ancora più caos della performance dei Doors; colpa del booking o no, se Morrison non si fosse volatilizzato immediatamente, probabilmente sarebbe stato arrestato (visti anche i precedenti del caso New Heaven, ma questa è un’altra storia). Infatti a fine marzo, il cantante è stato definito ‘fuggitivo’ dalle autorità, e il mandato di cattura era arrivato addirittura ai servizi segreti militari, nonostante dai rapporti non risulti che Jim avesse compiuto dei crimini così gravi. Morrison era probabilmente un bersaglio predestinato, e addirittura la malsana organizzazione del concerto, volta ad aumentare il caos, sembrava quasi parte del piano. L’ennesimo tentativo di dimostrare che le rockstar fanno male ai giovani e che incitano alle rivolte. E questo episodio non sarebbe isolato. Vi ricordate, per esempio, quando Nixon fece di tutto per fare arrestare Lennon appena sbarcato a New York? Ecco. Era una vera e propria operazione volta a creare dei nemici pubblici come capri espiatori. Resta il fatto che i rapporti dell’FBI non parlano di nessun atto così terribile da smobilitare né la CIA, né tantomeno i servizi segreti militari, e questo parrebbe sostenere la nostra tesi. Nessuno saprà mai effettivamente se questa teoria sia corretta, ma abbiamo ragione di pensare che lo sia, visto il contesto. Una cosa è sicura: tutto quello che ha fatto o detto Jim si è verificato, ed è dimostrato anche da alcune registrazioni.

Il fatto era stato forse l’incidente più grave che la band abbia mai affrontato, ma fortunatamente ha potuto proseguire la carriera, almeno fino alla morte del Re Lucertola.
 

[Clicca qui per la registrazione dell'inizio del concerto]


                                                                                                                                      - Matt

venerdì 2 novembre 2012

Band Profile: How To Destroy Angels

How To Destroy Angels è un progetto che vede protagonista l’instancabile Trent Reznor, mente dei Nine Inch Nails e recentemente autore delle celebri soundtracks di The Social Network (per la quale ha vinto un Grammy) e The Girl With The Dragon Tattoo.

Con gli HDA, Trent è accompagnato dalla moglie Mariqueen Manding alla voce, Atticus Ross (co-autore delle soudtracks succitate), e il designer grafico dei Nine Inch Nails, Rob Sheridan. Il nome del progetto è stato ispirato dall’omonimo singolo della band Coil.
 
Il sound del progetto è molto particolare, oscillando tra il post-industrial e l’elettronica sperimentale, e si discosta nettamente dai NIN, avvicinandosi forse di più agli esperimenti nelle colonne sonore del duo Reznor-Ross.

 Nel 2010 esce il loro primo EP, dal titolo omonimo, che include sei tracks, ed è stato reso disponibile in free-download tramite il sito ufficiale della band, e distribuito anche in forma “fisica”, con una cover differente.

Nella soundtrack di The Girl With The Dragon Tattoo, è inclusa la traccia Is your love strong enough?, che figura sotto il monicker di How To Destroy Angels, essendo cantata da Mariqueen.
Nell’ottobre 2012 la band si ripresenta con il singolo Keep it together, che anticipa l’uscita di An Omen EP, prevista per il 13 novembre. Le tracks incluse in questo EP dovrebbero comparire nell’album progettato per il 2013, per il quale Trent Reznor ha deciso di abbandonare la produzione indipendente, appoggiandosi alla Columbia.
Il video per Keep it together è stato pubblicato su Vimeo il 2 novembre 2012, ecco il link:
http://vimeo.com/52603601
E’ possibile invece scaricare gratuitamente la track, insieme ad alcuni remix alternativi e le canzoni apparse nell’EP di esordio, sul soundcloud della band:
http://soundcloud.com/howtodestroyangels
 
Consigliato per i fans di…  :  Nine Inch Nails ed elettronica sperimentale
Tracce chiave… : A Drowning, The space in between, Keep it together
 

martedì 30 ottobre 2012

Intervista ai Garden of Alibis


Sabato 27 settembre, noi di Newtopia abbiamo partecipato alla seconda Indiescutibile Night, alle Officine Sonore di Vercelli. La serata ha visto come headliners i Garden of Alibis, band di Torino con cui abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata nel post-show. Con noi ha parlato il Vladimiro, gentilissimo a concederci l’intervista.

NEWTOPIA : Innanzitutto complimenti per la performance, veramente energica e di impatto. Il sound ci ha molto colpiti.

GARDEN OF ALIBIS (VLADIMIRO): Grazie

N: Per iniziare, ti vorremmo chiedere di presentare la band a chi non vi conosce, farci un po’ recap della vostra carriera, come siete arrivati qui, e da quale scena provenite.

GoA: Beh, intanto siamo di Torino, e che dire… Suoniamo penso da dieci anni assieme, insomma eravamo piccolini… E’ inutile dire che vogliamo fare questo nella vita, vi dedichiamo quasi la totalità della giornata, e ritagliamo qualche spazio per andare all’università. Un po’ di mesi fa, a maggio, abbiamo deciso di fare uscire il nostro primo disco: è un disco nato nell’ultimo anno e mezzo sostanzialmente, ma è frutto di una crescita. Ci siamo subito interrogati ovviamente sul da farsi… Saprete tutti che la discografia non esiste più, ma questo non vuol dire che non esista più la musica; non esiste più un certo modo di fare business sulla musica, forse è stato sostituito da un altro, o forse lo sarà, perché il processo è lungo. Questo non vuol dire che ci si debba arrendere. Questa è un po’ forse la cifra nostra. Noi abbiamo deciso di provare a fare un’operazione un po’ diversa sul disco: ci siamo presentati da xL di Repubblica. Siamo andati da loro e gli abbiamo proposto una cosa molto semplice: “Noi troviamo chi riesce a pagarci 10/15 mila copie del disco, possiamo regalarle allegandole alla vostra rivista?”. E’ un mensile, e sostanzialmente chi lo legge si interessa di musica… Loro hanno ascoltato il disco e sono stati entusiasti. A quel punto, colpo di scena, ci hanno richiamati una settimana dopo dicendoci che alle nostre 15 mila copie avrebbero aggiunto 40 mila copie messe da loro, e alla fine ne abbiamo distribuite 50/60 mila… Un numero senza senso, perché di solito uno stampa un disco a casa, e ne può distribuire tipo 500 copie, ma perché le vende, noi invece le abbiamo regalate perché abbiamo deciso di fare un’operazione di diffusione. Da lì è partito qualcosa di bello per noi, perché c’è stata una crescita enorme. Ci hanno chiamato molto per suonare, siamo stati prevalentemente all’estero. Queste sono le prime date che facciamo in Italia, e ne seguiranno quattro o cinque quest’inverno. Tra quest’estate e settembre siamo stati a Berlino (due volte), Bruxelles, Parigi, Glasgow, Londra, Barcellona: ci sentiamo molto cittadini europei, perché alla fine per la musica che facciamo, i capitali investiti nella musica non sono qui, e neanche il pubblico. Questo non vuol dire che il pubblico qui [in Italia, NdR] non possa esserci. Quando vai a vedere band come i Killers o i Mumford and Sons, il pubblico c’è. Forse il problema è che c’è un establishment musicale che non ha ancora capito come fare i soldi con gli spettacoli, dico fare soldi perché quella è una parte fondamentale di questo mondo.


 N: Dunque, parliamo delle vostre influenze, e delle vostre band di riferimento… Da dove prendete principalmente l’ispirazione?

 GoA: Io ti dico cosa ascoltiamo, che noi prendiamo ispirazione o siano veri e propri riferimenti, non lo so, nel senso che questa domanda è sempre molto difficile. Noi cerchiamo di fare una musica il più personale possibile, non so se ci riusciamo, ma comunque ci proviamo. Noi abbiamo ascoltato tanto e sempre i Rolling Stones, David Bowie… insomma musica non “recentissima”; negli ultimi tre-quattro anni,  come “aggiornamento”, abbiamo ascoltato di più cose nuove, tipo i Kings of Leon, i Killers, adesso stiamo ascoltando tanto i Two Door Cinema Club, Mumford and Sons, gli Snow Patrol, i Coldplay tantissimo…

 N: Infatti devo dire che i vostri riff di chitarra mi hanno ricordato molto l’ultimo album dei TDCC, ho percepito un richiamo… Ma il sound è comunque risultato personale…

 GoA: Ecco sono contento, perché poi le cose si sentono, l’importante è non suonare un “canovaccio”, non suonare una musica fatta di parti già pre-confezionate. Noi cerchiamo di essere personali, ma è ovvio che quello che ascolti ti influenza.

 N: Esatto! Parliamo ora dei progetti per l’immediato futuro… Puntate all’Italia o nuovamente all’estero?

 GoA: Abbiamo un progetto fighissimo, che stiamo mettendo in ordine, si chiama “Homeless Tour”, e sarà un tour in Italia nelle case. Non suoneremo nei locali, ma in venti case di venti regioni (venti capoluoghi), e faremo delle feste sostanzialmente private.

 N: Interessante l’idea… Un rapporto ancora più diretto con i fans… Come avete fatto a realizzare questo progetto?

 GoA: i fans di xL, sono moltissimi, ci hanno scritto su Facebook, noi li abbiamo schedati, contattati e abbiamo, in via prima informale, e poi formale, lanciato un contest per candidare la propria casa, per fare una selezione per regione, alla ricerca di qualcosa di nuovo, che possa affezionare veramente il pubblico, piuttosto che il concerto organizzato direttamente dal booking.

 N: Molto bello appunto, come abbiamo già detto, un rapporto diretto con i fans…

 GoA: Più che altro, noi parliamo molto con i fans che ci scrivono, perché è una cosa fondamentale creare un rapporto con loro nell’epoca dei social network.

 N: Un' ultima domanda veloce: una parola per descrivere i Garden of Alibis.

 GoA: Noi siamo prevalentemente affezionati l’uno all’altro, siamo cresciuti insieme, quindi siamo un po’ dei fratelli, viviamo l’arco della giornata insieme…

 N: Quindi potremmo dire “fratellanza”?

 GoA: La fratellanza e l’amicizia sono i due ingredienti fondamentali.


Ringraziamo quindi ancora una volta Vladimiro per la disponibilità, e facciamo un in bocca al lupo ai GoA per il futuro. Un ringraziamento speciale anche a Vinny di indiescutibile.it che ha reso possibile l’intervista.

Garden of Alibis:
www.gardenofalibis.com
www.facebook.com/gardenofalibis

 Indiescutibile.it:
www.indiescutibile.it
www.facebook.com/Indiescutibile.it

Newtopia:
www.facebook.com/nutopiamg
www.newtopiamg.blogspot.it




martedì 23 ottobre 2012

Q Awards 2012: And The Winners Are...


Ecco i vincitori dell'edizione 2012 dei Q Awards, organizzati dal celebre omonimo magazine:


·        Best Track: 
"Ill Manors" — Plan B

·        Best New Act:
Django Django

·        Best Live Act:
 Blur ( picture à)

·        Best Video:
"Disconnected" — Keane

·        Best Album:
  The Bravest Man In The Universe — Bobby Womack

·        Best Solo Artist:
Emeli Sandé

·        Best Act In The World Today:
Muse ( picture à)

·        Q Classic Song:
"Walk On By" — Dionne Warwick

·        Q Classic Album:
Generation Terrorists — Manic Street Preachers

·        Q Spirit of Independence:
The Cribs

·        Q Innovation in Sound:
Underworld

·        Q Inspiration Award:
Pulp

·        Q Icon Award:
Dexys Midnight Runners

·        Q Hero:
Johnny Marr ( picture à )

·        Q Idol:
Brandon Flowers ( picture à)



 

domenica 14 ottobre 2012

Blast from the Past #2: Recensione di “Screamadelica” by Primal Scream



Ritorniamo con l’appuntamento Blast from the Past per parlarvi dei Primal Scream, una band di Glasgow che si è realmente resa pioniera di una rivoluzione musicale basata sulle sperimentazioni negli anni ’90.  Screamadelica è il punto di partenza di questo movimento.

Prima di tutto, inquadriamo storicamente l’album: siamo nel ’91, e mentre dall’America sta arrivando il colosso grunge, nel Regno Unito il pilastro musicale della scena della club music e dell’alternative è ancora una volta Manchester, ma non dimentichiamo il lato più oscuro della musica britannica, rappresentato dal fantasma ancora vivo della new wave e dalla shoegaze.

Dietro ai Primal Scream c’è Bobby Gillespie, voce della band, già batterista dei Jesus and Mary Chain, che negli anni ’80 avevano a loro volta portato una rivoluzione nella musica noise con Psychocandy (di cui magari parleremo meglio nella rubrica Dark Side of Music); i PS paiono essere la perfetta connessione tra le atmosfere oscure noise e shoegaze (appunto con band come i Jesus…) e la scena dei club di Manchester, capitanati dall’Hacienda, con l’aggiunta però di un ponte con il passato, che li lega sull’aspetto melodico ai Beatles, e sull’aspetto più aggressivo e introspettivo a  Velvet Underground e Stooges, il tutto amalgamato in una pasta sonora stile acid-house.


Screamadelica, terzo lavoro in studio della band, è ancora di più. Il sound dell’album è una perfetta mescolanza di tutte le componenti succitate, ma con altre aggiunte geniali. A momenti di groove pauroso in pieno stile Madchester si uniscono atmosfere dai suoni sensuali, come in Inner Flight, dal ritmo sognante; anche il gospel trova il suo spazio nella tracklist, tra organi “da chiesa” a tappeto e cori in pieno stile black music, come nella opening Movin’on Up. Alcuni brani sembrano essere addirittura frutto di geniali jam sessions, che trasportano l’ascoltatore in una sorta di trance ritmica da cui è difficile svegliarsi (vedi Come Together o Don’t fight it, feel it). Che dire di Loaded invece? Uno dei punti più alti dell’album senz’altro.
Quasi tutte le tracks contengono campionamenti di parti parlate, e schitarrate prese in prestito dagli Stones d’annata, senza dimenticare linee di basso dub come in Higher than the sun.
L’album viene perfettamente recepito dalla critica e dal pubblico, certificandosi disco d’oro e entrando nella top 10 inglese, oltre che a diversi premi vinti a seguito della pubblicazione.

Che dire quindi? Un album sperimentatore, perfettamente ambientato nell’ambiente musicale del Regno Unito dei primi anni 90 e che aprirà la strada, oltre che ad altre band, ad un percorso musicale di altissimo livello per i PS, che, però a mio avviso, vede il vero capolavoro in questo suo punto di partenza. Essenziale.
-      
         - Matt

Tracklist:

1 Movin' On Up
2 Slip Inside This House
3 Don't Fight It, Feel It
4 Higher Than The Sun
5 Inner Flight
6 Come Together
7 Loaded
8 Damaged
9 I'm Comin' Down
10 Higher Than The Sun (A Dub Symphony In Two Parts)
11 Shine Like Stars

domenica 7 ottobre 2012

Recensione 'The 2nd Law' by Muse a cura di Matt


Il 28 settmbre esce ufficialmente il sesto album in studio dei Muse; si tratta di un concept album, che tratta le tematiche della crisi finanziaria e della protesta della popolazione.

Il trio inglese ha dimostrato di saperci stupire sempre di più, di album in album, tenendo costantemente alto l’interesse del pubblico e la loro credibilità musicale. ‘The 2nd Law’ sembra ancora una volta confermare questo status. Ri-inventarsi e saper andare oltre ogni volta è la chiave del successo di questa band e con questo nuovo lavoro si spinge nuovamente avanti, creando un’ottima miscela di elettronica, chitarre distorte, orchestrazioni e dubstep. Sì sì avete letto bene, dubstep. Pienamente nelle tendenze del momento, i Muse ci buttano una spolverata di dubstep, vedi i pezzi ‘The 2nd Law: unsustainable’ e ‘Follow me’. In particolare, quest’ultimo mi ha colpito per il suo saper mescolare una sonorità quasi “dance anni ‘70” con i suoni della dub.
I singoli da battaglia non mancano: ‘Madness’ ne è il perfetto esempio, pezzo elettronico con un assolo alla Brian May sul finale e ‘Supremacy’, potente e aggressivo. Troviamo anche due pezzi cantati dal bassista
Chris Wolstenholme, ossia  ‘Liquid State’ e ‘Save me’, brano molto intimo incentrato sulla dipendenza dall’alchol, da cui è recentemente uscito.

Non mancano interludi dal sapore orchestrale, come il finale ‘Isolated System’ e il ‘Prelude’ a ‘Survival’, il quale è a mio avviso l’unica nota stonata dell’album. Il brano è stato scritto per le Olimpiadi 2012 di Londra, ma a mio parere risulta un bizzarro tentativo mal riuscito di creare una ‘Innuendo’ (mi riferisco ai Queen, ovviamente) made in Muse, con il solo risultato di un pezzo che davvero non sta in piedi…

Detto ciò, l’album è ottimo, e gli azzardi nella sperimentazione non sono mai esagerati, mantenendo invariata la matrice originale del sound del trio, seppur con un upgrade notevole. 

Key tracks: Madness, Supremacy, Follow Me, Panic Station

Voto: 7.5

- Matt



sabato 22 settembre 2012

NME 12 sep 2012: Peter Hook parla del 'vero' Ian Curtis [articolo tradotto] - parte 2


Sul numero del 12 settembre 2012 di NME (storico magazine musicale inglese) appare un interessantissimo articolo a Peter Hook, dove quest'ultimo parla dei Joy Division e di Ian Curtis, per com'era veramente. Noi di Newtopia l'abbiamo tradotto per voi, in due parti. Traduzione a cura di Matt, un ringraziamento speciale alla nostra fan di facebook Roy per averci passato la versione originale, permettendoci così di tradurla.

La parte 1 si trova qui:
http://newtopiamg.blogspot.it/2012/09/nme-12-sep-2012-peter-hook-parla-del.html


18 maggio 1980
“Ian si uccise nel primo mattino di domenica. L’ultima volta che lo vedemmo era venerdì, quando gli demmo un passaggio per la casa dei suoi genitori a Moston… Era in uno stato euforico, noi ridevamo e scherzavamo per ogni cosa, finché uno di noi non se ne saltava fuori dicendo ‘Non ci credo che stiamo per andare nella fottuta America’, saltavamo, urlavamo, gridavamo: ‘Sì America!’.
 “Questo succedeva venerdì sera, saremmo dovuti partire dopo il weekend. Se quello sciocco autolesionista non si fosse ucciso, saremmo stati sull’aereo per l’america Lunedì. Se avesse programmato di uccidersi prima di partire, come molti dicono, lo aveva mascherato così bene con tutto quell’entusiasmo? Era un così bravo attore?
 “Barney ci parlò sabato. A casa dei suoi a Molton c’era un telefono. Gli chiese se avesse voluto uscire con noi. Lui disse che sarebbe andato da Debby. Infatti ci andò, litigarono e lei se ne andò al lavoro. Così se ne andò anche lui e si impiccò.
 “Prima di partire per l’America, sarebbe dovuto stare con i genitori, stando a quello che dice la madre Doreen. Sabato mattina ricevette una lettera  sul suo divorzio, così disse a sua madre che voleva andare a Macclesfield per vedere Natalie [sua figlia, nata nell’aprile ’79, ndr], per dirle addio. Così suo padre Kevin e Doreen gli diedero un passaggio per Piccadilly Station, e lì lo videro per l’ultima volta, mentre li salutava  dal treno.
Natalie stava dalla madre di Deborah, ma Debbie vide Ian alla casa in Burton Street sabato pomeriggio prima di andare a lavorare ad un ricevimento nuziale dietro al bar, promettendo che sarebbe tornata dopo il lavoro per parlare con lui. Così fece, lo trovò a guardare il film Stroszek di Werner Herzog, e vide che aveva bevuto molti caffè e liquore, e continuarono la discussione sul loro divorzio. Ian le disse che prima aveva parlato con Annik; chiese a Debbie di lasciar stare il divorzio. Quando vide che Ian stava inziando a scaldarsi, ebbe paura che potesse avere una crisi epilettica, così gli offrì di fermarsi per la notte. Debbie tornò dai suoi genitori per dire che si sarebbe fermata là, e quando tornò a casa, trovò un Ian più calmo, che le chiese di andarsene e di non tornare prima delle 10 del giorno dopo, quando sarebbe partito per Manchester. Dopo che se ne andò, ascoltò a ripetizione The Idiot di Iggy Pop, bevve altri caffè e liquori e scrisse una lettera per Debby, dove diceva che sperava che lui fosse morto, ma non lasciava intendere di volersi suicidare. Alle 11.30 circa del giorno dopo tornò a casa e trovo Ian morto, in ginocchio, con una corda intorno al collo, con l’altra estremità attaccata alla corda del bucato legata al soffitto. Ero al pranzo domenicale con la mia ragazza, quando l’ho saputo. Mi sono alzato e ho risposto al telefono, era la polizia, il detective sergente qualcosa, che disse ‘Sono desolato di informarla che la scorsa notte Ian Curtis si è tolto la vita, stiamo cercando di contattare Rob Gretton, se ci parla può dirgli di chiamarci, perfavore?’
 “Ho risposto ‘Ok’ e ho iniziato a sentirmi intorpidito. In realtà, sono rimasto così per giorni, e il mio cervello era congelato. 
“Non dissi nulla a Iris. Nello stato in cui ero sono tornato a sedermi e mi sono rimesso a mangiare, ma senza sentire il sapore, sentendomi come se non fossi più nel mio corpo. Avevo lo sguardo basso. Iris dopo un po’ mi chiese ‘Chi era al telefono, comunque?’ ‘Oh’ dissi ‘Era la polizia. Mi ha chiamato per dirmi di Ian’ ‘Riguardo cosa?’ ‘Si è ucciso.’
 “Non ricordo più nulla di ciò che accadde dopo. Ricordo solo che io Barney, Terry e Twinny spendemmo molto tempo insieme al pub, giocando a freccette, bevendo, stando insieme, andando a vedere Rob, cercando di dare un senso a tutto. Non c’erano urli o pianti, c’era solo un silenzio sordo.
 “C’era un sacco di gente al funerale. La cosa strana è che non me ne ricordo molto. Solo che erano tantissimi, tutte le band, i ragazzi della Factory, ma non Annik, chiaramente per Debby. Ricordo solo che ero seduto in fondo, e la sorella di Ian disperata mentre la tenda si chiuse dietro la bara. Ma tutto sembrava surreale. Mi sentivo stranamente distaccato. Dopo andammo al pub in fondo alla strada: io, Steve, Gillian, Barney, Rob e Terry. Twinny non ce la faceva, così non è venuto. Ci siamo presi un paio di pinte. E’ stato lì che Rob disse, non vi preoccupate, i Joy Division saranno veramente grandi in 10 anni. Aveva ragione, chiaramente. Non che a nessuno di noi ne fottesse qualcosa in quel momento. Abbiamo finito il pomeriggio guardando il film sui Sex Pistols negli uffici della Factory. Una situazione veramente triste. Dopodiché ci siamo messi d’accordo per tornare in sala prove il Lunedì…”




*Tutti i diritti per le immagini, parole a qualsiasi altra cosa presenti in questo post sono di proprietà dei rispettivi proprietari, noi ci siamo limitati a tradurre l'articolo, visto che il magazine non è disponibile in Italia, la traduzione non è a scopo di lucro né nulla; tutti i diritti sono riservati ai rispettivi proprietari*

NME 12 sep 2012: Peter Hook parla del 'vero' Ian Curtis [articolo tradotto] - parte 1


Sul numero del 12 settembre 2012 di NME (storico magazine musicale inglese) appare un interessantissimo articolo a Peter Hook, dove quest'ultimo parla dei Joy Division e di Ian Curtis, per com'era veramente. Noi di Newtopia l'abbiamo tradotto per voi, in due parti. Traduzione a cura di Matt. Un ringraziamento speciale alla nostra fan di facebook Roy per averci passato la versione originale, permettendoci così di tradurla.

-Tratto da NME del 12 settembre 2012-

 “Ciò che non è mai veramente venuto fuori è l’ Ian che vedevamo nella band”

In un estratto in esclusiva mondiale dal suo nuovo libro, “Unknown Pleasures: inside Joy Division”, Peter Hook alza il velo sulla band post-punk di Manchester, mostrando la differenza tra il vero Ian Curtis e tra quello mitologicizzato.

“Ho iniziato a scrivere il libro prima di rimettermi a suonare i pezzi dei Joy Division”dice l’ex bassista Peter Hook sul suo nuovo lavoro. “Così, in un certo qual modo, mi sono ritrovato immerso nella cosa. Stavo scrivendo ogni dettaglio che mi veniva in mente. Pensavo sarebbe stato catartico, ma alla fine mi sono reso conto che sono colpevole quanto qualsiasi altra persona. Non ero assolto. Non ho mai capito perché Ian lo fece. E’ stato catartico nel senso che sono riuscito a scrivere la storia dal punto di vista di un membro della band. Ma non mi ha mai liberato dalla colpa che sentivo riguardo Ian ”.
“La storia dei Joy Division, con la morte di Ian, sembrava aver raggiunto la fine, aver guadagnato lo status di leggenda del rock’n’roll, così com’è accaduto anche con i Nirvana. Questo è quello che succede alle band quando soffrono: vengono immortalate. Ian è rimasto come congelato nella storia. Io, Bernard e Stephen siamo invecchiati intorno a lui, ma lui è rimasto lo stesso. Questa è una strana sensazione”.
Questi sono alcuni ricordi che Peter ha di Ian, lo Ian-uomo più che lo Ian –leggenda.

Peter, Bernard e Ian parlarono per la prima volta allo show dei Sex Pistols al Manchester’s Electric Circus, nel 1976. 

“Lui risaltava tra la gente. Io e Barney eravamo in cima ad una scala guardando in basso, e luì è salito, così ci siamo messi a parlare, visto che lo avevamo già visto in giro.  Quali sono state le prime parole che gli abbiamo detto? Cazzo, non me lo ricordo. Forse qualcosa tipo ‘Non ci siamo già visti allo squat [penso si riferisca all’occupazione di un locale pubblico ad una manifestazione, ndr] ?‘ Era solo un ragazzino con la scritta ‘Hate’ sul cappotto, un normalissimo ragazzino. Noi chiaramente eravamo dei punk, e dovevamo sembrare particolarmente selvaggi in confronto a chiunque altro, ma lui sembrava normale rispetto  a noi. Era simpatico, aveva una parlata delicata e un acuto senso dell’umorismo … Abbiamo iniziato a vederlo più spesso. Era di Oldham ed era sposato, il che ci ha un po’ scioccato-non il fatto che fosse di Oldham, ma che fosse sposato. Cioè, voglio dire, sposato. Avevamo appena lasciato le superiori. O sembrava come se le avessimo appena lasciate. Potremmo dire che lo abbiamo danneggiato un po’. Quando lo abbiamo conosciuto era un uomo sposato, e si comportava da tale. Se una ragazza figa passava per strada,  io e Barney la guardavamo, ma Ian non le avrebbe dato un secondo sguardo. Era giusto quel po’ più gentiluomo di noi. Dopo poco tempo, se una ragazza figa passava per strada, lui si comportava esattamente come noi. L’ho capito con il tempo…  Riguardandomi indietro, ho capito che lui era esattamente così, uno che si faceva influenzare molto dalla gente; poteva essere qualsiasi cosa tu volevi che fosse. Un’anima poetica, sensibile e torturata. E’ così che è stato mitologicizzato, e così effettivamente era. Ma poteva anche essere uno di noi – era uno di noi, per quanto ci riguardava…  Adattava il suo comportamento a seconda di con chi si trovava. Penso anche che questo fosse un aspetto del suo carattere che ha finito per danneggiarlo.

Dopo una scoraggiante prima esibizione alla London’s Hope & Anchor il 27 dicembre del ’78, con la band ci dividemmo in strada, non dimenticate che al tempo non c’era traffico. Potevi restare per nel 
tratto peggiore della M1 per un’ora e non vedere nemmeno una macchina. Chiaramente non potevamo accendere il riscaldamento perché consumava benzina, così ci siamo infilati tremando nel taxi, sfregandoci le mani tentando di mantenerle calde, riflettendo sul da farsi con la band. Forse ci saremmo lamentati, forse si saremmo fermati a mangiare qualcosa… Alla fine decidemmo di tornare a casa. Ad ogni modo, qualche giorno dopo ho telefonato a uno degli altri, che mi ha detto cos’era successo. Mi ricordo solo che pensai ‘Merda, c’è qualcosa che non va con Ian’. Durante il viaggio di ritorno dal concerto, in macchina c’era stato un piccolo alterco. Sconsolato dalla brutta performance, Ian aveva parlato di lasciare la band e poi ha strappato a Barney il suo sacco a pelo. Dopo esserselo arrotolato attorno alla testa, iniziò a scuotersi battendo contro i finestrini e la porta dell’auto. Gli altri si fermarono e scesero dalla macchina per cercare di farlo rinsavire.”

Il 22 agosto del ’79, la scrittrice di fanzine belga Annik Honoré, intervistò la band. Sarebbe in poco tempo diventata l’amante di Ian.

La cosa che mi preme della deificazione di Ian è che suggerisce che ci fosse una vera differenza  tra la lui e il resto della band, che in realtà non c’era. Il fatto che lui fosse una persona diversa con Annik e Debbie [sua moglie, ndr]non è in dubbio, proprio per la mutevolezza del suo carattere in base alle persone con cui si trovava.
L’Ian che stava con Debbie è quello di cui lei parla nel suo libro. E’ quello che vedete anche in Control (film del 2007 sulla band). dove si vede anche la versione di Ian che stava con Annik. Ma quello che non vedete-e che non è mai emerso- è l’Ian della band.  Questo perché non quadrava con il mito che è stato costruito su di lui, che preferisce l’idea che lui fosse su un altro piano rispetto al resto di noi. Lui amava il lifestyle, e avrebbe resistito molto di più se non fosse stato per l’epilessia. Amava la musica e amava il gruppo. Era il nostro compagno. Quando il roadie della band Terry trovò una strana merda nei bagni del Leigh Open Air Festival, e l’ha fatto vedere a tutti, perché era veramente grosso-il più incredibile stronzo che io abbia mai visto-lui non è corso a consultare un libro di Dostoyevsky per sapere come comportarsi, come avrebbe fatto se fosse stato con Debbie o Annik. No, lui rideva esattamente come noi. Proprio come uno di noi.
Penso sia questo che intendo quando dico che abbiamo avuto il meglio di Ian e bisogna anche spendere un pensiero a Debby, che se lo vedeva tornare a casa completamente devastato. E’ questo che fa una band: lo prendi, lo porti via e poi lo riporti a casa, lasciando qualcuno a raccoglierlo e mettere insieme i pezzi.”

Dopo un concerto al Plan K a Bruxelles il 17 gennaio del 1980, si comportarono in modo veramente depravato…

“Twinny venne portato via e finì nel letto di Barney, con lui dentro. Così Barney si alzò di botto e sbattè la testa contro il termosifone. Era così incazzato che prese una bottiglia di aranciata e la ruppe contro il radiatore per rovesciarla sul letto di Twinny. La risposta di Twinny fu di rompere due bottiglie di Duvel e rovesciarle nel letto di Barney, e a quel punto tutti li stavamo intimando a smetterla prima di farsi male. Allora Ian lo ha tirato fuori e si è messo a pisciare nel nostro posacenere. E’ veramente ironico ripensarci, Ian si girava mentre pisciava dicendo ‘Ahah visto segaioli? Sto pisciando nella vostra stanza!’ Era una di quelle pisciate che sembra durare in eterno, come quelle degli asini, e noi lo stavamo insultando, quando un custode arrivò nella stanza scortato da due tizi della sicurezza. Il ragazzo era incazzatissimo. Ian non rideva più. Stava cercando di ritirare il cazzo nei pantaloni mentre il custode stava diventando paonazzo dalla rabbia insultandolo in francese mentre noi lo insultavamo in inglese… Allora non sembrava tanto divertente”.

In supporto ai Buzzcocks al Bournemouth Winter Gardens il due novembre del ’79, l’epilessia di Ian prese la piega peggiore

“Le crisi di Ian arrivavano sempre verso la fine dei concerti. Quella sera ne ebbe una all’inizio dello show, che dovemmo annullare. E’ durata un’ora e mezza, con me e Rob che facevamo a turni nello spogliatoio per tenere fermo il suo corpo, e ancora una volta con io che gli tenevo la lingua ferma per non farlo soffocare. Cristo, era spaventoso.  Ritornò in sé guardandoci con gli occhi fuori dalle orbite. ‘Ian’gli dissi ‘Mi senti? Dovremo portarti all’ospedale’ Lui scosse la testa. Sì mi aveva sentito, ma non voleva andarci all’ospedale.  Non ha mai voluto, non voleva essere un peso o rovinare tutto, questo era lui. ‘Ascolta Ian non è giusto; hai sopportato fin troppo, ti ci portiamo, che tu lo voglia o no.’ All’ospedale hanno avuto la grazia di tenerlo nella sala di consulenza mentre noi aspettavamo in quella d’attesa. Dopo un po’ uscì fuori. Un po’ pallido. Un po’ giù di corda. Ma diverso. ‘Tutto ok Ian?’ ‘Sì sì tutto ok, non vi preoccupate. Per Ian ‘normale’ stava diventando mangiare cibo di merda, non riposarsi, incazzarsi, viaggiare tutto il tempo, guidare da città a città. Esattamente l’opposto di quello che avrebbe dovuto fare.”

Il programma della band rimase folle durante il tour con i Buzzcocks.

Una notte, intorno alla notte dei fuochi d’artificio, io, Terry, Dave Pils, Rob e Steve irrompemmo nella stanza di Ian e Barney, che erano con due ragazze. Dave lanciò un paio di petardi nella stanza, e uno atterrò sulla camicia di Barney, che prese fuoco. Barney diventò paonazzo, incazzatissimo. Dopo averla spenta, iniziò ad insultarci in tutti i modi e ad urlarci dietro, sventolando la camicia. Di risposta, noi lo mandammo a fanculo, e se lo meritava… Ian pensò fosse ilare e queste due ragazze, completamente nude, erano terrificate, poveracce: la loro stanza improvvisamente piena di ragazzi del nord che lanciavano petardi in giro, davano fuoco a vestiti e si insultavano a vicenda. Non proprio il tipo di festino erotico che speravano.”

La pressione dei problemi matrimoniali e l’essere in tour iniziano ad essere un peso per Ian.

“Dopo essere tornati dal tour europeo, Ian si sgolò una bottiglia di Pernod e si tagliò con un coltello – un fottuto coltello da cucina. Dopo poco io e gli altri gli parlammo della cosa. ‘Per che cazzo di motivo lo hai fatto, Ian, pazzo bastardo?’ ‘Oh, era solo una di quelle cose così’ disse scuotendo le spalle ‘Ero un po’ giù e mi sono fatto trasportare dalla cosa, sai…’
“Ma veramente no. Non sapevo… Ci siamo scordati del fatto che avesse aggiunto l’autolesionismo alla lista. E andammo avanti. Con la benedizione di Ian andammo avanti; Ian, che più di tutti noi voleva assaporare i frutti del successo, e non voleva che la sua malattia si mettesse sulla nostra strada; Ian, che ci sosteneva 
sempre dopo uno show di merda.”

Il 7 aprile 1980, Ian finì in overdose di fenobarital a casa.

“E’ stato suggerito che avesse preso le pillole per un secondo fine, temendo la possibilità di danni al cervello o al fegato più che per morire, o che fosse un pianto di aiuto. Qualunque fosse la ragione, ha allertato Deborah e fu immediatamente portato all’ospedale di Macclesfield, dove gli fecero una lavanda gastrica. Il giorno dopo, Pasquetta, Tony Wilson, Alan Erasmus e Rob Gretton presero Debby e la portarono a visitare Ian in ospedale. Venne suggerito che Ian stesse con Tony e sua moglie Lindsay al loro cottage a Charlesworth, per allentare le pressioni matrimoniali… Intanto, Rob Gretton decise che lo show del giorno dopo si sarebbe dovuto fare comunque, come da programma, anche senza Ian. Sarebbe dovuto venire Alan Hempsall dei Crispy Ambulance, un grande fan. Ma la sera dello show, trovò lì di sorpresa Ian. Grett era andato a trovarlo in ospedale e lo aveva convinto a cantare – per almeno uno o due pezzi…
 “Avremmo dovuto cancellare tutto, è chiaro, ma ci servivano soldi per il tour americano, e,  se fosse stato cancellato, avremmo dovuto pagare una penale. Non lo so, ma abbiamo deciso di farlo. Odio dirlo, ma per una volta era stato confortante poter suonare ad uno show senza preoccuparci delle condizioni di Ian. Perché, dopo lo shock iniziale di lui che cercava di rimettersi, ti sentivi come, ok, questa è una cosa spaventosa, ma almeno non è andato fino in fondo. Invece cambiò idea. Decise di vivere. E non di morire.

*Tutti i diritti per le immagini, parole a qualsiasi altra cosa presenti in questo post sono di proprietà dei rispettivi proprietari, noi ci siamo limitati a tradurre l'articolo, visto che il magazine non è disponibile in Italia, la traduzione non è a scopo di lucro né nulla; tutti i diritti sono riservati ai rispettivi proprietari*

mercoledì 12 settembre 2012

Blast from the Past #1: Recensione The Masterplan by Oasis


Per la prima edizione di Blast from the Past ho deciso di parlarvi di una raccolta firmata Oasis, ossia The Masterplan. La scelta di recensire un best of (sebbene si tratti di un caso particolare) può essere criticabile, ma credo che alcune parole meritino di essere spese per questa collection, che raccoglie i migliori B-Sides dei singoli pubblicati dalla band fino al 1998.

[Ricordiamo, per chi non lo sapesse, che un b-side è un brano utilizzato per accompagnare in un cd singolo il brano principale, e può essere un brano inedito, una traccia dello stesso album da cui proviene la principale, o una registrazione live, e che spesso tende a passare in secondo piano, dovendo solamente accompagnare il lead single. ]

Le canzoni che compongono The Masterplan sono le quattordici b-sides più votate dai fans tramite il  sito ufficiale della band; la raccolta doveva essere inizialmente pubblicata solo negli stati in cui i cd singoli degli Oasis erano reperibili solo se importati dall’Europa, perciò molto costosi, permettendo così a tutti di apprezzare anche questi brani, ma poi il successo è stato alto e ha trovato spazio in tutti i paesi del mondo, guadagnando anche un disco di platino nel Regno Unito.

Vi starete chiedendo la motivazione della scelta di recensire una semplice raccolta di lati b. Ebbene, ecco la mia risposta: gli Oasis sono una delle mie band preferite di sempre, e trovo che spesso e volentieri si siano trovati a comporre b-sides qualitativamente migliori dei loro singoli. Questa raccolta ne è la dimostrazione. 

L’affetto di Noel Gallagher per i brani inclusi in questo best of è da sempre stato palese: brani come Talk Tonight, The Masterplan o Aquiesce sono stati eseguiti regolarmente live per anni, talvolta anche durante le esibizioni soliste di Noel dopo il break-up della band, e inserite nella loro compilation Stop The Clocks, dimostrando anche l’importanza che hanno anche per fans. Un po’ la scelta di pubblicare The Masterplan è dovuta anche ad una presunzione di fondo che ai Gallagher non è mai mancata: volevano diventare la migliore band del mondo, e dimostrare che perfino una “semplice” raccolta di b-sides poteva essere un capolavoro.

Ma parliamo ora delle tracks: il nostro percorso si apre con Aquiesce,  brano sull’amicizia, caratterizzato da chitarre potenti e con le linee vocali spartite tra i due fratelli, decisamente il principale shoulda-be-single della raccolta, grande classico del repertorio live della band di Manchester. Molto energiche, ma senza esagerare, sono anche Underneath the Sky, Fade Away (brano sul “crescere ma non invecchiare”) e Headshrinker. Non mancano i momenti acustici, con Going Nowhere, Half the World Away (la preferita di Paul Weller tra le loro composizioni) e Talk Tonight, tutti brani scritti da Noel in moment di solitudine con la chitarra acustica. Particolarmente significativa è Talk Tonight, che parla di una notte negli States in cui Noel, dopo un litigio con Liam, lascia la band per rifugiarsi a Las Vegas, dove una coppia di fans lo ospita e riesce a fargli cambiare idea sull’abbandonare gli Oasis.
Abbiamo poi le più “poppy” Listen Up, Stay Young, e Rockin Chair, dove troviamo notevoli performance vocali di Liam. Non dimentichiamoci di The Swamp Song, brano strumentale utilizzato per livellare i suoni dello storico concerto a Glastonbury, e la cover live della beatlesiana I am the Walrus.
Punta di diamante della track-list è sicuramente The Masterplan, uno dei brani per cui Noel Gallagher va più fiero, senz’altro un capolavoro.

Che dire, io definirei The Masterplan bello quasi quanto Definitely Maybe, e oltre ad essere d’obbligo per i fans d’annata della band, è un ottimo modo per conoscere gli Oasis, essendo una prova perfetta dell’alto livello di capacità compositiva di Noel Gallagher.

-          Matt

Tracklist:

1. Acquiesce (A-Side: Some Might Say/Roll With It)
2. Underneath The Sky (A-Side: Don’t Look Back In Anger)
3. Talk Tonight (A-Side: Some Might Say/Wonderwall )
4. Going Nowhere (A-Side: Stand By Me)
5. Fade Away (A-Side: Cigarettes & Alcohol/Whatever )
6. The Swamp Song (A-Side: Wonderwall)
7. I Am The Walrus (A-Side: Cigarettes & Alcohol )
8. Listen Up (A-Side: Cigarettes & Alcohol/Whatever )
9. Rockin' Chair (A-Side: Roll With It/Morning Glory/Wonderwall)
10. Half The World Away (A-Side: Whatever)
11. (It's Good) To Be Free (A-Side: Whatever)
12. Stay Young (A-Side: D’You Know What I Mean)
13. Headshrinker (A-Side: Some Might Say/ Roll With It )
14.The Masterplan (A-Side: Wonderwall )