sabato 22 settembre 2012

NME 12 sep 2012: Peter Hook parla del 'vero' Ian Curtis [articolo tradotto] - parte 2


Sul numero del 12 settembre 2012 di NME (storico magazine musicale inglese) appare un interessantissimo articolo a Peter Hook, dove quest'ultimo parla dei Joy Division e di Ian Curtis, per com'era veramente. Noi di Newtopia l'abbiamo tradotto per voi, in due parti. Traduzione a cura di Matt, un ringraziamento speciale alla nostra fan di facebook Roy per averci passato la versione originale, permettendoci così di tradurla.

La parte 1 si trova qui:
http://newtopiamg.blogspot.it/2012/09/nme-12-sep-2012-peter-hook-parla-del.html


18 maggio 1980
“Ian si uccise nel primo mattino di domenica. L’ultima volta che lo vedemmo era venerdì, quando gli demmo un passaggio per la casa dei suoi genitori a Moston… Era in uno stato euforico, noi ridevamo e scherzavamo per ogni cosa, finché uno di noi non se ne saltava fuori dicendo ‘Non ci credo che stiamo per andare nella fottuta America’, saltavamo, urlavamo, gridavamo: ‘Sì America!’.
 “Questo succedeva venerdì sera, saremmo dovuti partire dopo il weekend. Se quello sciocco autolesionista non si fosse ucciso, saremmo stati sull’aereo per l’america Lunedì. Se avesse programmato di uccidersi prima di partire, come molti dicono, lo aveva mascherato così bene con tutto quell’entusiasmo? Era un così bravo attore?
 “Barney ci parlò sabato. A casa dei suoi a Molton c’era un telefono. Gli chiese se avesse voluto uscire con noi. Lui disse che sarebbe andato da Debby. Infatti ci andò, litigarono e lei se ne andò al lavoro. Così se ne andò anche lui e si impiccò.
 “Prima di partire per l’America, sarebbe dovuto stare con i genitori, stando a quello che dice la madre Doreen. Sabato mattina ricevette una lettera  sul suo divorzio, così disse a sua madre che voleva andare a Macclesfield per vedere Natalie [sua figlia, nata nell’aprile ’79, ndr], per dirle addio. Così suo padre Kevin e Doreen gli diedero un passaggio per Piccadilly Station, e lì lo videro per l’ultima volta, mentre li salutava  dal treno.
Natalie stava dalla madre di Deborah, ma Debbie vide Ian alla casa in Burton Street sabato pomeriggio prima di andare a lavorare ad un ricevimento nuziale dietro al bar, promettendo che sarebbe tornata dopo il lavoro per parlare con lui. Così fece, lo trovò a guardare il film Stroszek di Werner Herzog, e vide che aveva bevuto molti caffè e liquore, e continuarono la discussione sul loro divorzio. Ian le disse che prima aveva parlato con Annik; chiese a Debbie di lasciar stare il divorzio. Quando vide che Ian stava inziando a scaldarsi, ebbe paura che potesse avere una crisi epilettica, così gli offrì di fermarsi per la notte. Debbie tornò dai suoi genitori per dire che si sarebbe fermata là, e quando tornò a casa, trovò un Ian più calmo, che le chiese di andarsene e di non tornare prima delle 10 del giorno dopo, quando sarebbe partito per Manchester. Dopo che se ne andò, ascoltò a ripetizione The Idiot di Iggy Pop, bevve altri caffè e liquori e scrisse una lettera per Debby, dove diceva che sperava che lui fosse morto, ma non lasciava intendere di volersi suicidare. Alle 11.30 circa del giorno dopo tornò a casa e trovo Ian morto, in ginocchio, con una corda intorno al collo, con l’altra estremità attaccata alla corda del bucato legata al soffitto. Ero al pranzo domenicale con la mia ragazza, quando l’ho saputo. Mi sono alzato e ho risposto al telefono, era la polizia, il detective sergente qualcosa, che disse ‘Sono desolato di informarla che la scorsa notte Ian Curtis si è tolto la vita, stiamo cercando di contattare Rob Gretton, se ci parla può dirgli di chiamarci, perfavore?’
 “Ho risposto ‘Ok’ e ho iniziato a sentirmi intorpidito. In realtà, sono rimasto così per giorni, e il mio cervello era congelato. 
“Non dissi nulla a Iris. Nello stato in cui ero sono tornato a sedermi e mi sono rimesso a mangiare, ma senza sentire il sapore, sentendomi come se non fossi più nel mio corpo. Avevo lo sguardo basso. Iris dopo un po’ mi chiese ‘Chi era al telefono, comunque?’ ‘Oh’ dissi ‘Era la polizia. Mi ha chiamato per dirmi di Ian’ ‘Riguardo cosa?’ ‘Si è ucciso.’
 “Non ricordo più nulla di ciò che accadde dopo. Ricordo solo che io Barney, Terry e Twinny spendemmo molto tempo insieme al pub, giocando a freccette, bevendo, stando insieme, andando a vedere Rob, cercando di dare un senso a tutto. Non c’erano urli o pianti, c’era solo un silenzio sordo.
 “C’era un sacco di gente al funerale. La cosa strana è che non me ne ricordo molto. Solo che erano tantissimi, tutte le band, i ragazzi della Factory, ma non Annik, chiaramente per Debby. Ricordo solo che ero seduto in fondo, e la sorella di Ian disperata mentre la tenda si chiuse dietro la bara. Ma tutto sembrava surreale. Mi sentivo stranamente distaccato. Dopo andammo al pub in fondo alla strada: io, Steve, Gillian, Barney, Rob e Terry. Twinny non ce la faceva, così non è venuto. Ci siamo presi un paio di pinte. E’ stato lì che Rob disse, non vi preoccupate, i Joy Division saranno veramente grandi in 10 anni. Aveva ragione, chiaramente. Non che a nessuno di noi ne fottesse qualcosa in quel momento. Abbiamo finito il pomeriggio guardando il film sui Sex Pistols negli uffici della Factory. Una situazione veramente triste. Dopodiché ci siamo messi d’accordo per tornare in sala prove il Lunedì…”




*Tutti i diritti per le immagini, parole a qualsiasi altra cosa presenti in questo post sono di proprietà dei rispettivi proprietari, noi ci siamo limitati a tradurre l'articolo, visto che il magazine non è disponibile in Italia, la traduzione non è a scopo di lucro né nulla; tutti i diritti sono riservati ai rispettivi proprietari*

NME 12 sep 2012: Peter Hook parla del 'vero' Ian Curtis [articolo tradotto] - parte 1


Sul numero del 12 settembre 2012 di NME (storico magazine musicale inglese) appare un interessantissimo articolo a Peter Hook, dove quest'ultimo parla dei Joy Division e di Ian Curtis, per com'era veramente. Noi di Newtopia l'abbiamo tradotto per voi, in due parti. Traduzione a cura di Matt. Un ringraziamento speciale alla nostra fan di facebook Roy per averci passato la versione originale, permettendoci così di tradurla.

-Tratto da NME del 12 settembre 2012-

 “Ciò che non è mai veramente venuto fuori è l’ Ian che vedevamo nella band”

In un estratto in esclusiva mondiale dal suo nuovo libro, “Unknown Pleasures: inside Joy Division”, Peter Hook alza il velo sulla band post-punk di Manchester, mostrando la differenza tra il vero Ian Curtis e tra quello mitologicizzato.

“Ho iniziato a scrivere il libro prima di rimettermi a suonare i pezzi dei Joy Division”dice l’ex bassista Peter Hook sul suo nuovo lavoro. “Così, in un certo qual modo, mi sono ritrovato immerso nella cosa. Stavo scrivendo ogni dettaglio che mi veniva in mente. Pensavo sarebbe stato catartico, ma alla fine mi sono reso conto che sono colpevole quanto qualsiasi altra persona. Non ero assolto. Non ho mai capito perché Ian lo fece. E’ stato catartico nel senso che sono riuscito a scrivere la storia dal punto di vista di un membro della band. Ma non mi ha mai liberato dalla colpa che sentivo riguardo Ian ”.
“La storia dei Joy Division, con la morte di Ian, sembrava aver raggiunto la fine, aver guadagnato lo status di leggenda del rock’n’roll, così com’è accaduto anche con i Nirvana. Questo è quello che succede alle band quando soffrono: vengono immortalate. Ian è rimasto come congelato nella storia. Io, Bernard e Stephen siamo invecchiati intorno a lui, ma lui è rimasto lo stesso. Questa è una strana sensazione”.
Questi sono alcuni ricordi che Peter ha di Ian, lo Ian-uomo più che lo Ian –leggenda.

Peter, Bernard e Ian parlarono per la prima volta allo show dei Sex Pistols al Manchester’s Electric Circus, nel 1976. 

“Lui risaltava tra la gente. Io e Barney eravamo in cima ad una scala guardando in basso, e luì è salito, così ci siamo messi a parlare, visto che lo avevamo già visto in giro.  Quali sono state le prime parole che gli abbiamo detto? Cazzo, non me lo ricordo. Forse qualcosa tipo ‘Non ci siamo già visti allo squat [penso si riferisca all’occupazione di un locale pubblico ad una manifestazione, ndr] ?‘ Era solo un ragazzino con la scritta ‘Hate’ sul cappotto, un normalissimo ragazzino. Noi chiaramente eravamo dei punk, e dovevamo sembrare particolarmente selvaggi in confronto a chiunque altro, ma lui sembrava normale rispetto  a noi. Era simpatico, aveva una parlata delicata e un acuto senso dell’umorismo … Abbiamo iniziato a vederlo più spesso. Era di Oldham ed era sposato, il che ci ha un po’ scioccato-non il fatto che fosse di Oldham, ma che fosse sposato. Cioè, voglio dire, sposato. Avevamo appena lasciato le superiori. O sembrava come se le avessimo appena lasciate. Potremmo dire che lo abbiamo danneggiato un po’. Quando lo abbiamo conosciuto era un uomo sposato, e si comportava da tale. Se una ragazza figa passava per strada,  io e Barney la guardavamo, ma Ian non le avrebbe dato un secondo sguardo. Era giusto quel po’ più gentiluomo di noi. Dopo poco tempo, se una ragazza figa passava per strada, lui si comportava esattamente come noi. L’ho capito con il tempo…  Riguardandomi indietro, ho capito che lui era esattamente così, uno che si faceva influenzare molto dalla gente; poteva essere qualsiasi cosa tu volevi che fosse. Un’anima poetica, sensibile e torturata. E’ così che è stato mitologicizzato, e così effettivamente era. Ma poteva anche essere uno di noi – era uno di noi, per quanto ci riguardava…  Adattava il suo comportamento a seconda di con chi si trovava. Penso anche che questo fosse un aspetto del suo carattere che ha finito per danneggiarlo.

Dopo una scoraggiante prima esibizione alla London’s Hope & Anchor il 27 dicembre del ’78, con la band ci dividemmo in strada, non dimenticate che al tempo non c’era traffico. Potevi restare per nel 
tratto peggiore della M1 per un’ora e non vedere nemmeno una macchina. Chiaramente non potevamo accendere il riscaldamento perché consumava benzina, così ci siamo infilati tremando nel taxi, sfregandoci le mani tentando di mantenerle calde, riflettendo sul da farsi con la band. Forse ci saremmo lamentati, forse si saremmo fermati a mangiare qualcosa… Alla fine decidemmo di tornare a casa. Ad ogni modo, qualche giorno dopo ho telefonato a uno degli altri, che mi ha detto cos’era successo. Mi ricordo solo che pensai ‘Merda, c’è qualcosa che non va con Ian’. Durante il viaggio di ritorno dal concerto, in macchina c’era stato un piccolo alterco. Sconsolato dalla brutta performance, Ian aveva parlato di lasciare la band e poi ha strappato a Barney il suo sacco a pelo. Dopo esserselo arrotolato attorno alla testa, iniziò a scuotersi battendo contro i finestrini e la porta dell’auto. Gli altri si fermarono e scesero dalla macchina per cercare di farlo rinsavire.”

Il 22 agosto del ’79, la scrittrice di fanzine belga Annik Honoré, intervistò la band. Sarebbe in poco tempo diventata l’amante di Ian.

La cosa che mi preme della deificazione di Ian è che suggerisce che ci fosse una vera differenza  tra la lui e il resto della band, che in realtà non c’era. Il fatto che lui fosse una persona diversa con Annik e Debbie [sua moglie, ndr]non è in dubbio, proprio per la mutevolezza del suo carattere in base alle persone con cui si trovava.
L’Ian che stava con Debbie è quello di cui lei parla nel suo libro. E’ quello che vedete anche in Control (film del 2007 sulla band). dove si vede anche la versione di Ian che stava con Annik. Ma quello che non vedete-e che non è mai emerso- è l’Ian della band.  Questo perché non quadrava con il mito che è stato costruito su di lui, che preferisce l’idea che lui fosse su un altro piano rispetto al resto di noi. Lui amava il lifestyle, e avrebbe resistito molto di più se non fosse stato per l’epilessia. Amava la musica e amava il gruppo. Era il nostro compagno. Quando il roadie della band Terry trovò una strana merda nei bagni del Leigh Open Air Festival, e l’ha fatto vedere a tutti, perché era veramente grosso-il più incredibile stronzo che io abbia mai visto-lui non è corso a consultare un libro di Dostoyevsky per sapere come comportarsi, come avrebbe fatto se fosse stato con Debbie o Annik. No, lui rideva esattamente come noi. Proprio come uno di noi.
Penso sia questo che intendo quando dico che abbiamo avuto il meglio di Ian e bisogna anche spendere un pensiero a Debby, che se lo vedeva tornare a casa completamente devastato. E’ questo che fa una band: lo prendi, lo porti via e poi lo riporti a casa, lasciando qualcuno a raccoglierlo e mettere insieme i pezzi.”

Dopo un concerto al Plan K a Bruxelles il 17 gennaio del 1980, si comportarono in modo veramente depravato…

“Twinny venne portato via e finì nel letto di Barney, con lui dentro. Così Barney si alzò di botto e sbattè la testa contro il termosifone. Era così incazzato che prese una bottiglia di aranciata e la ruppe contro il radiatore per rovesciarla sul letto di Twinny. La risposta di Twinny fu di rompere due bottiglie di Duvel e rovesciarle nel letto di Barney, e a quel punto tutti li stavamo intimando a smetterla prima di farsi male. Allora Ian lo ha tirato fuori e si è messo a pisciare nel nostro posacenere. E’ veramente ironico ripensarci, Ian si girava mentre pisciava dicendo ‘Ahah visto segaioli? Sto pisciando nella vostra stanza!’ Era una di quelle pisciate che sembra durare in eterno, come quelle degli asini, e noi lo stavamo insultando, quando un custode arrivò nella stanza scortato da due tizi della sicurezza. Il ragazzo era incazzatissimo. Ian non rideva più. Stava cercando di ritirare il cazzo nei pantaloni mentre il custode stava diventando paonazzo dalla rabbia insultandolo in francese mentre noi lo insultavamo in inglese… Allora non sembrava tanto divertente”.

In supporto ai Buzzcocks al Bournemouth Winter Gardens il due novembre del ’79, l’epilessia di Ian prese la piega peggiore

“Le crisi di Ian arrivavano sempre verso la fine dei concerti. Quella sera ne ebbe una all’inizio dello show, che dovemmo annullare. E’ durata un’ora e mezza, con me e Rob che facevamo a turni nello spogliatoio per tenere fermo il suo corpo, e ancora una volta con io che gli tenevo la lingua ferma per non farlo soffocare. Cristo, era spaventoso.  Ritornò in sé guardandoci con gli occhi fuori dalle orbite. ‘Ian’gli dissi ‘Mi senti? Dovremo portarti all’ospedale’ Lui scosse la testa. Sì mi aveva sentito, ma non voleva andarci all’ospedale.  Non ha mai voluto, non voleva essere un peso o rovinare tutto, questo era lui. ‘Ascolta Ian non è giusto; hai sopportato fin troppo, ti ci portiamo, che tu lo voglia o no.’ All’ospedale hanno avuto la grazia di tenerlo nella sala di consulenza mentre noi aspettavamo in quella d’attesa. Dopo un po’ uscì fuori. Un po’ pallido. Un po’ giù di corda. Ma diverso. ‘Tutto ok Ian?’ ‘Sì sì tutto ok, non vi preoccupate. Per Ian ‘normale’ stava diventando mangiare cibo di merda, non riposarsi, incazzarsi, viaggiare tutto il tempo, guidare da città a città. Esattamente l’opposto di quello che avrebbe dovuto fare.”

Il programma della band rimase folle durante il tour con i Buzzcocks.

Una notte, intorno alla notte dei fuochi d’artificio, io, Terry, Dave Pils, Rob e Steve irrompemmo nella stanza di Ian e Barney, che erano con due ragazze. Dave lanciò un paio di petardi nella stanza, e uno atterrò sulla camicia di Barney, che prese fuoco. Barney diventò paonazzo, incazzatissimo. Dopo averla spenta, iniziò ad insultarci in tutti i modi e ad urlarci dietro, sventolando la camicia. Di risposta, noi lo mandammo a fanculo, e se lo meritava… Ian pensò fosse ilare e queste due ragazze, completamente nude, erano terrificate, poveracce: la loro stanza improvvisamente piena di ragazzi del nord che lanciavano petardi in giro, davano fuoco a vestiti e si insultavano a vicenda. Non proprio il tipo di festino erotico che speravano.”

La pressione dei problemi matrimoniali e l’essere in tour iniziano ad essere un peso per Ian.

“Dopo essere tornati dal tour europeo, Ian si sgolò una bottiglia di Pernod e si tagliò con un coltello – un fottuto coltello da cucina. Dopo poco io e gli altri gli parlammo della cosa. ‘Per che cazzo di motivo lo hai fatto, Ian, pazzo bastardo?’ ‘Oh, era solo una di quelle cose così’ disse scuotendo le spalle ‘Ero un po’ giù e mi sono fatto trasportare dalla cosa, sai…’
“Ma veramente no. Non sapevo… Ci siamo scordati del fatto che avesse aggiunto l’autolesionismo alla lista. E andammo avanti. Con la benedizione di Ian andammo avanti; Ian, che più di tutti noi voleva assaporare i frutti del successo, e non voleva che la sua malattia si mettesse sulla nostra strada; Ian, che ci sosteneva 
sempre dopo uno show di merda.”

Il 7 aprile 1980, Ian finì in overdose di fenobarital a casa.

“E’ stato suggerito che avesse preso le pillole per un secondo fine, temendo la possibilità di danni al cervello o al fegato più che per morire, o che fosse un pianto di aiuto. Qualunque fosse la ragione, ha allertato Deborah e fu immediatamente portato all’ospedale di Macclesfield, dove gli fecero una lavanda gastrica. Il giorno dopo, Pasquetta, Tony Wilson, Alan Erasmus e Rob Gretton presero Debby e la portarono a visitare Ian in ospedale. Venne suggerito che Ian stesse con Tony e sua moglie Lindsay al loro cottage a Charlesworth, per allentare le pressioni matrimoniali… Intanto, Rob Gretton decise che lo show del giorno dopo si sarebbe dovuto fare comunque, come da programma, anche senza Ian. Sarebbe dovuto venire Alan Hempsall dei Crispy Ambulance, un grande fan. Ma la sera dello show, trovò lì di sorpresa Ian. Grett era andato a trovarlo in ospedale e lo aveva convinto a cantare – per almeno uno o due pezzi…
 “Avremmo dovuto cancellare tutto, è chiaro, ma ci servivano soldi per il tour americano, e,  se fosse stato cancellato, avremmo dovuto pagare una penale. Non lo so, ma abbiamo deciso di farlo. Odio dirlo, ma per una volta era stato confortante poter suonare ad uno show senza preoccuparci delle condizioni di Ian. Perché, dopo lo shock iniziale di lui che cercava di rimettersi, ti sentivi come, ok, questa è una cosa spaventosa, ma almeno non è andato fino in fondo. Invece cambiò idea. Decise di vivere. E non di morire.

*Tutti i diritti per le immagini, parole a qualsiasi altra cosa presenti in questo post sono di proprietà dei rispettivi proprietari, noi ci siamo limitati a tradurre l'articolo, visto che il magazine non è disponibile in Italia, la traduzione non è a scopo di lucro né nulla; tutti i diritti sono riservati ai rispettivi proprietari*

mercoledì 12 settembre 2012

Blast from the Past #1: Recensione The Masterplan by Oasis


Per la prima edizione di Blast from the Past ho deciso di parlarvi di una raccolta firmata Oasis, ossia The Masterplan. La scelta di recensire un best of (sebbene si tratti di un caso particolare) può essere criticabile, ma credo che alcune parole meritino di essere spese per questa collection, che raccoglie i migliori B-Sides dei singoli pubblicati dalla band fino al 1998.

[Ricordiamo, per chi non lo sapesse, che un b-side è un brano utilizzato per accompagnare in un cd singolo il brano principale, e può essere un brano inedito, una traccia dello stesso album da cui proviene la principale, o una registrazione live, e che spesso tende a passare in secondo piano, dovendo solamente accompagnare il lead single. ]

Le canzoni che compongono The Masterplan sono le quattordici b-sides più votate dai fans tramite il  sito ufficiale della band; la raccolta doveva essere inizialmente pubblicata solo negli stati in cui i cd singoli degli Oasis erano reperibili solo se importati dall’Europa, perciò molto costosi, permettendo così a tutti di apprezzare anche questi brani, ma poi il successo è stato alto e ha trovato spazio in tutti i paesi del mondo, guadagnando anche un disco di platino nel Regno Unito.

Vi starete chiedendo la motivazione della scelta di recensire una semplice raccolta di lati b. Ebbene, ecco la mia risposta: gli Oasis sono una delle mie band preferite di sempre, e trovo che spesso e volentieri si siano trovati a comporre b-sides qualitativamente migliori dei loro singoli. Questa raccolta ne è la dimostrazione. 

L’affetto di Noel Gallagher per i brani inclusi in questo best of è da sempre stato palese: brani come Talk Tonight, The Masterplan o Aquiesce sono stati eseguiti regolarmente live per anni, talvolta anche durante le esibizioni soliste di Noel dopo il break-up della band, e inserite nella loro compilation Stop The Clocks, dimostrando anche l’importanza che hanno anche per fans. Un po’ la scelta di pubblicare The Masterplan è dovuta anche ad una presunzione di fondo che ai Gallagher non è mai mancata: volevano diventare la migliore band del mondo, e dimostrare che perfino una “semplice” raccolta di b-sides poteva essere un capolavoro.

Ma parliamo ora delle tracks: il nostro percorso si apre con Aquiesce,  brano sull’amicizia, caratterizzato da chitarre potenti e con le linee vocali spartite tra i due fratelli, decisamente il principale shoulda-be-single della raccolta, grande classico del repertorio live della band di Manchester. Molto energiche, ma senza esagerare, sono anche Underneath the Sky, Fade Away (brano sul “crescere ma non invecchiare”) e Headshrinker. Non mancano i momenti acustici, con Going Nowhere, Half the World Away (la preferita di Paul Weller tra le loro composizioni) e Talk Tonight, tutti brani scritti da Noel in moment di solitudine con la chitarra acustica. Particolarmente significativa è Talk Tonight, che parla di una notte negli States in cui Noel, dopo un litigio con Liam, lascia la band per rifugiarsi a Las Vegas, dove una coppia di fans lo ospita e riesce a fargli cambiare idea sull’abbandonare gli Oasis.
Abbiamo poi le più “poppy” Listen Up, Stay Young, e Rockin Chair, dove troviamo notevoli performance vocali di Liam. Non dimentichiamoci di The Swamp Song, brano strumentale utilizzato per livellare i suoni dello storico concerto a Glastonbury, e la cover live della beatlesiana I am the Walrus.
Punta di diamante della track-list è sicuramente The Masterplan, uno dei brani per cui Noel Gallagher va più fiero, senz’altro un capolavoro.

Che dire, io definirei The Masterplan bello quasi quanto Definitely Maybe, e oltre ad essere d’obbligo per i fans d’annata della band, è un ottimo modo per conoscere gli Oasis, essendo una prova perfetta dell’alto livello di capacità compositiva di Noel Gallagher.

-          Matt

Tracklist:

1. Acquiesce (A-Side: Some Might Say/Roll With It)
2. Underneath The Sky (A-Side: Don’t Look Back In Anger)
3. Talk Tonight (A-Side: Some Might Say/Wonderwall )
4. Going Nowhere (A-Side: Stand By Me)
5. Fade Away (A-Side: Cigarettes & Alcohol/Whatever )
6. The Swamp Song (A-Side: Wonderwall)
7. I Am The Walrus (A-Side: Cigarettes & Alcohol )
8. Listen Up (A-Side: Cigarettes & Alcohol/Whatever )
9. Rockin' Chair (A-Side: Roll With It/Morning Glory/Wonderwall)
10. Half The World Away (A-Side: Whatever)
11. (It's Good) To Be Free (A-Side: Whatever)
12. Stay Young (A-Side: D’You Know What I Mean)
13. Headshrinker (A-Side: Some Might Say/ Roll With It )
14.The Masterplan (A-Side: Wonderwall )

domenica 9 settembre 2012

Recensione Beacon by Two Door Cinema Club a cura di Matt



L’attesa per questo secondo album degli irlandesi Two Door Cinema Club era molto forte. A testimonianza di ciò le pubblicità di dimensione spropositata in quel di Londra (che ho potuto personalmente vedere la scorsa settimana) e tutto il parlare che si è fatto di loro in questa estate. Ho sentito addirittura alcuni fans nostrani preferire la loro performance come opening act ai The Killers a Verona a quella degli headliners.

Ad ogni modo, questo fortunato secondo album non delude le aspettative, anzi segna un netto miglioramento dagli esordi della band irlandese. Il sound si è fatto più maturo e meno spensierato e “superficiale”, sia a livello di lyrics che a livello di impatto sonoro. E’ un album orientato all’indie pop, curato dal produttore Jacknife Lee (REM, U2) in cui la band sembra dimostrare di essere veramente cresciuta.

L’opening track Next Year ricorda un po’ le linee vocali di Brandon Flowers, ed è la perfetta apertura, avendo un bel tiro seppur dando allo stesso tempo all’ascoltatore un senso di tranquillità e pace. E’ un po’ questo in generale il mood dell’album, energico, sì, ma non troppo, rimanendo comunque tranquillo e piacevole, mai esagerato. Bello anche il sound di Sleep Alone (lead single dell’album), trascinato dal basso distorto, così come l’energica Someday.

Non mancano i lenti, Sun e The World is Watching che ammorbidiscono ulteriormente il tiro, ma mantenendo alto l’interesse. La migliore track è secondo me Settle, che eleggerei come pezzo rappresentativo dell’album.

Nel complesso l’album è a mio avviso bello, ma forse a tratti un po’ ripetitivo nell’insieme, forse non proprio adatto ad un ascolto ripetitivo, ma costituito da pezzi che presi singolarmente sono molto piacevoli, e potenzialmente perfetti per playlist e ascolti casuali.

Un appunto che farei, ma è una questione di gusto personale, avrei preferito il suono del basso un po’ più presente, visto che il genere si presta comunque bene a queste dinamiche.

Non delude, vale la pena ascoltarlo.

Voto: 7,75/10

Key Tracks: Next Year, Sun, Settle
-         
      - Matt